Perché l’aggressione nei confronti dell’obiezione di coscienza e degli obiettori è così virulento?
I medici che – applicando una norma contenuta in quella stessa legge 194 del 1978 che tanti vogliono difendere ad ogni costo – si rifiutano di essere coinvolti nelle pratiche abortive dimostrano silenziosamente la natura di quell’atto: un bambino, che cresce felice nel grembo di sua madre, viene ingiustamente e brutalmente ucciso, avvelenato o fatto a pezzi.
La realtà è quella … ed è una realtà che, spessissimo quell’atto cui la donna si è sottoposta per i più diversi motivi lascia nella stessa donna sofferenze e postumi, fisici e psicologici.
Ma, evidentemente, la realtà non deve apparire: le donne devono essere tenute all’oscuro di quanto avverrà; la popolazione intera non deve sapere, non deve riflettere, non deve usare il proprio cervello e la propria coscienza. Ecco: i medici obiettori non sono disposti a smettere di agire e pensare in “scienza e coscienza”.
Per questo bisogna combatterli, intimidirli, licenziarli, esporli al pubblico ludibrio.
Ma in questo slancio è evidente la volontà di andare oltre: dell’aborto non si deve parlare oppure si deve dire solo le cose che lo Stato abortista vuole che si dica … altrimenti minacce, provvedimenti repressivi, denunce.
Due episodi mostrano quanto abbiamo appena scritto.
A Bergamo, il Corriere della Sera si scomoda perché un medico obiettrice – di cui ovviamente si fornisce il nome e il cognome, e anche l’indirizzo dello studio, così da permettere a qualche femminista nostalgica o a qualche esagitato di fare il suo lavoro … – nel proprio studio privato ha cancellato un passo del manifesto dello “Spazio Giovani” della ASL di Bergamo in cui si riporta che in quello “Spazio” si forniscono anche informazioni relative all’interruzione della gravidanza. Fra l’altro quel medico, oltre a rivendicare il diritto di appendere quello che vuole nel suo studio privato, dice esattamente che “se qualcuno vuole sapere qualcosa su questo argomento ne parla con il medico, non leggendone sui manifesti”.
Ma, evidentemente, questo non è possibile, tanto che la Direttrice dell’ASL ipotizza che la condotta del medico avrebbe leso “il diritto dei pazienti a essere informati sui propri diritti e sui servizi messi a disposizione dall’Asl” e preannuncia provvedimenti, sostenendo che “la spiegazione che l’ambulatorio è suo non regge“.
Ma torniamo al punto. Qui “una lettrice dell’Espresso, Rita”, ha da dire sui manifesti presenti nel Consultorio Pubblico: in particolare una bacheca del Centro di aiuto alla Vita in cui si propongono le immagini di feti ai vari stati di sviluppo e si riportava una drammatica testimonianza di una donna che aveva abortito con gravi conseguenze fisiche e psicologiche.
Vedete: negli studi privati è obbligatorio mettere i manifesti dei Consultori pubblici che parlano di aborto alle ragazze a partire dai 14 anni (!); nei Consultori pubblici è vietato parlare di aborto come è nella realtà …
Vediamo cosa dice “Rita”:
“Trovo questo volantino raccapricciante nel suo fanatismo, oltre che scientificamente inaccettabile nel suo contenuto: il suo unico scopo evidente è di colpevolizzare e, peggio, criminalizzare, le donne che hanno fatto la sempre difficile e drammatica scelta di abortire e che, a termini di legge, rivolgendosi alla sanità pubblica, hanno il diritto di essere aiutate e accompagnate nella loro comunque dolorosa scelta”.
“Colpevolizzare” e “criminalizzare”: “Rita” vuole le donne inconsapevoli e felici, eterne minorenni?
“Scientificamente inaccettabile”: dove, signora Rita?
“Le donne devono essere aiutate e accompagnate nella loro dolorosa scelta”: e non vengono aiutate se, con tutto l’aiuto che un Centro di Aiuto alla Vita fornisce, riescono a portare avanti la gravidanza e a far nascere un bambino?
Ma l’Espresso non si accontenta: si lamenta che
“la bacheca del “Centro di aiuto alla vita” domina lo spazio centrale del corridoio e non essendo bilanciata da nessun altro tipo di comunicazione attigua ed ufficiale dell’Asl diventa di fatto il primo riferimento che una donna si trova di fronte una volta arrivata al consultorio”.
Naturalmente “Rita” e con lei l’Espresso, dimentica che la legge 194 impone ai consultori di informare la donna sui servizi sociali, sanitari ed assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti sul territorio” e che lo scopo è quello di “contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione volontaria della gravidanza”, che può essere raggiunto anche con la collaborazione di “idonee formazioni sociali di base e associazioni di volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita” (art. 2).
Giacomo Rocchi
Fonte: Notizie PRO-LIFE: Prove tecniche di Stato totalitario.