di Jibran Khan
Secondo la denuncia egli avrebbe inviato messaggi telefonici offensivi sulla madre di Maometto. Esperti di legge parlano di errori procedurali nel capo di accusa. Attivisti per i diritti umani promettono battaglia in tribunale. Mons. Rufin Anthony: è un caso di “inimicizia personale”.
Islamabad (AsiaNews) – Le norme sulla blasfemia in Pakistan sono ancora una volta pretesto per colpire – senza prove – esponenti delle minoranze religiose. Il reverendo Zafar Bhatti, presidente della Jesus World Mission, si trova in carcere con l’accusa di aver violato la “legge nera”; in queste ore i giudici stanno decidendo se accogliere o meno l’istanza di appello e ordinare il rilascio su cauzione. Egli è rinchiuso con l’accusa di aver inviato sms telefonici con un contenuto offensivo nei confronti dell’islam e del profeta Maometto da un leader musulmano. Secca la replica di leader cattolici e attivisti per i diritti umani, che sostengono l’innocenza dell’uomo e parlano di “pressioni” sulla polizia ed errori procedurali negli atti dell’inchiesta.
Il rev. Bhatti è originario di Karachi, ma nel 2010 si è trasferito a Lahore, nella colonia di Nawaz Sharif dove ha vissuto per due anni. Egli ha lavorato a lungo in difesa dei diritti dei cristiani e delle minoranze religiose. Di recente, il 10 luglio scorso, ha deciso di traslocare di nuovo con la famiglia, alla volta della capitale Islamabad. Il giorno successivo, a sorpresa, è stata presentata una denuncia a suo carico presso la polizia di New Town, a Rawalpindi, da parte di Ahmed Khan, vice-segretario del movimento islamico Jamat Ehl-e-Sunnat.
Secondo il rapporto degli agenti, Khan avrebbe ricevuto sul proprio numero di telefono alcuni messaggi – da parte di un numero visibile, ma non registrato in memoria – contenente linguaggio oltraggioso nei confronti della madre di Maometto. Egli si è rivolto alla polizia, minacciando di movimentare l’ala estremista se gli agenti non avessero aperto un fascicolo per blasfemia, alla sezione 295-C del Codice penale.
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