Il mio intervento in Aula durante la discussione generale sulla proposta di legge sull’omofobia | Eugenia Roccella

Signor Presidente, prima di tutto devo dire che sono molto dispiaciuta che questo dibattito sia stato confinato in seduta notturna, una scelta inopportuna su un provvedimento come questo sull’omofobia, delicato ma anche coinvolgente. Ricordo fra l’altro che c’è stata già una seduta notturna in Commissione giustizia, in cui si è liquidato velocemente il testo unificato senza neanche prendere in esame gli emendamenti proposti dai parlamentari: quindi non vorrei che diventasse un’abitudine, e che andassimo di notturna in notturna senza mai fare un dibattito veramente ampio, un dibattito che si rifletta anche nel Paese, non ideologico, dettagliato però, che entri nel merito del provvedimento.

Il tempo concesso dalla veloce liquidazione del testo nella Commissione referente, e dalla altrettanto rapida calendarizzazione della discussione in Aula, non ha invece certamente favorito quegli approfondimenti che le numerose ambiguità e zone grigie del testo unificato avrebbero richiesto. Al contrario, tutto questo sembra finalizzato a eludere tali approfondimenti, facendo passare sulla testa dei cittadini norme che potrebbero mettere a rischio diritti e libertà fondamentali: prima fra tutte quella di opinione e di pensiero.

Non mi sembra che sia estremamente utile al nostro dibattito inanellare racconti di aggressioni (che certamente ci sono, lo sappiamo benissimo), di violenze e di singoli episodi contro omosessuali o transessuali: sappiamo benissimo, appunto, che di questi episodi ce ne sono moltissimi anche su altri fronti, e che non possiamo certo metterci a fare il confronto fra chi è più perseguitato, chi subisce maggiori violenze. Il problema, da legislatori, è quello di tutelare il più possibile in modo largo tutti quelli che possono essere vittime di discriminazioni o di violenze, e soprattutto di tutelare quelli che, tra l’altro, non hanno voce.

Non so se sia così grave e urgente il problema dell’intolleranza omofobica nel nostro Paese: a me onestamente non sembra che sia proprio così come viene dipinto, come è stato dipinto dai racconti drammatici che sono stati fatti, almeno se sono veri i dati proposti dalle indagini internazionali che indicano l’Italia fra le nazioni più avanzate al mondo nell’accettazione dell’omosessualità: il livello di accettazione è al 74 per cento. Il dato è contenuto nel rapporto del Pew Research Center, intitolato «Dove l’omosessualità è più accettata». Secondo lo studio l’Italia si piazza al quarto posto mondiale, dietro gli Stati Uniti e il Canada, fra i Paesi che hanno fatto i più grandi passi avanti nell’accettazione dell’omosessualità negli ultimi anni, dal 2007 al 2013.

È qualcosa di cui abbiamo un riscontro anche semplice: pensiamo per esempio ai casi di Crocetta e di Vendola. Mi ricordo che quando Vendola fu candidato in Puglia, si diceva che non sarebbe mai stato eletto, in un paese meridionale, in un paese dove vigevano sicuramente pregiudizi omofobici. Oppure penso a quanto lavoro è stato fatto sul piano culturale: perché credo che sia lì, soprattutto, che bisogna incidere, molto più che sul piano legislativo.

Però una legge sull’omofobia noi siamo disponibili a farla: c’è una larga disponibilità a fare una legge su questo tema. Quello che lascia perplessi, però, è lo strumento individuato per tutelare la comunità LGBT dalle violenze e dalle discriminazioni: si è scelto di introdurre un nuovo reato (quindi non un’aggravante, ma una fattispecie nuova) estendendo una norma incriminatrice introdotta nel 1993 della legge cosiddetta Mancino in tema di repressione della discriminazione razziale.

A parte l’incertezza in ordine alle ragioni e ai fini della condotta discriminatoria, ciò che risulta in primo luogo incerto è quale condotta si potrà concretamente ritenere discriminatoria in ragione degli orientamenti sessuali della parte lesa. E così ci si chiede quando si può parlare di discriminazione penalmente perseguibile, e quando si potrà dire di aver agito per omofobia in assenza di una specificazione normativa di un tale concetto. Secondo la Cassazione e svariati tribunali, l’espressione per esempio «sporco negro» utilizzata nell’atto della consumazione di un reato di altro tipo – per esempio, di percosse – denota inequivocabilmente l’intento discriminatorio razziale, con conseguente applicazione della relativa aggravante.  La stessa risulta però inapplicabile se invece l’offeso venisse apostrofato con l’espressione «sporco terrone» o, non so, «tossico disgraziato», o altri insulti che colpiscono diversi tipi di condizione di vulnerabilità.

Considerato che nelle leggi vigenti le uniche definizioni di discriminazione sono formulate con riferimento alla discriminazione razziale, ci si chiede se sia a tali definizioni che bisognerebbe far riferimento anche per le discriminazioni motivate da omofobia e transfobia. Ma è possibile e corretto, per fattispecie così diverse come la discriminazione razziale e quella per ipotesi motivata da omofobia e transfobia, applicare estensivamente le norme che definiscono la prima ? Il prodotto di questa scelta legislativa non potrebbe urtare contro il principio di tassatività e determinatezza della norma penale ? E che senso avrebbe corredare la discriminazione cosiddetta «omofobica» o «transfobica» di tutela penale e non fare altrettanto per i meridionali, nel caso dell’insulto «terrone» ? Parlo di un fatto ovviamente accaduto e finito in tribunale. E poi ci sono gli obesi, come ha ricordato Bragantini, che ormai per esempio in America sono veramente oggetto di discriminazioni molto pesanti, i balbuzienti, i disabili, e qualunque altra condizione di fragilità.

Per avere un’idea della varietà e ampiezza delle possibili ricadute della criminalizzazione dell’omofobia nel testo attuale, basta esaminare la giurisprudenza civile e penale formatasi sulla legge Mancino, per la quale sono riprovevoli anche atti privi di istigazione all’odio, manifestati senza alcun comportamento violento, come la richiesta da parte di un comune di un certificato per accedere a determinati servizi, rivolta agli stranieri, o i «no ai campi nomadi» sui manifesti affissi da un partito o da un’associazione di cittadini.

È dunque molto alto il rischio che la norma venga interpretata e applicata in modo da limitare fortemente la libertà di pensiero e di espressione, e non tanto per tutelare omosessuali e transessuali da violenze e discriminazioni più sostanziali. Se consideriamo la lettera del testo attuale e la giurisprudenza formatasi sulla discriminazione razziale, la possibilità che si arrivi a forme di dittatura del politicamente corretto tali da impedire la libera manifestazione di opinioni diverse, è molto concreta, ed è molto concreta se vediamo come leggi simili sono state applicate in Europa. Io ho sentito citare continuamente l’Europa, gli Stati europei che hanno fatto molto prima di noi leggi di questo genere, e portarli ad esempio – come sempre – di civiltà, ma poi andiamo a vedere che cosa ha prodotto questa legislazione nei diversi Paesi europe: ha prodotto – non sto qui a raccontarlo, ma potremmo anche occuparcene – discriminazioni, ingiustizie, repressione della libertà di pensiero e di espressione in moltissimi casi.

Vorrei concludere; Ivan Scalfarotto ha ricordato il caso di Andrea e dei pantaloni rosa, ed ha detto che questo ragazzo non è detto che fosse omosessuale, la famiglia lo nega e alcuni amici lo negano; questo non sarebbe importante, ma qui sta proprio il punto: allora, se non era omosessuale, era meno bisognoso di tutela ? Aveva meno diritto a una tutela ?

Vorrei concludere soltanto ricordando che la possibilità di fare una legge condivisa c’era e forse c’è ancora, come è stato ricordato più volte in Commissione anche da esponenti della Lega Nord, bastava adottare l’impostazione della proposta di legge Carfagna -Brunetta per esempio, che istituiva un’aggravante agganciata all’articolo 61 del codice penale e allargata, oltre che all’orientamento sessuale, anche proprio a tutti i fattori personali previsti dal trattato di Lisbona; una soluzione ragionevole che non avrebbe protetto soltanto omosessuali e transessuali, ma anche tutte le fragilità personali che possono portare ad essere vittime di odio, violenza, bullismo e discriminazione.

Si è voluta prendere un’altra strada; Ivan Scalfarotto dice che si è cercata una soluzione condivisa e non si è voluta fare una legge di bandiera, a me sembra esattamente l’opposto, mi sembra che si sia voluta fare una legge di bandiera. Vorrei ringraziare il sottosegretario Ferri per l’intervento equilibrato e per l’invito ad ascoltare anche le preoccupazioni di chi è contrario a quel testo, per cercare di arrivare ad un ampio consenso. Io spero anche che si ripensi al rifiuto della Commissione giustizia di accogliere le condizioni poste dalla Commissione affari costituzionali, come la condizione che segna un paletto tra il reato di opinione e l’idea che ci sia una generica possibilità di “istigazione a commettere discriminazione”, chiedendo invece che “l’istigazione a commettere discriminazione” sia esplicita.

Questo paletto mi sembra un punto importante e, dalle parole invece di Scalfarotto, mi è sembrato che non averlo accolto fosse non una questione di bon ton istituzionale, ma una questione di contenuto. Spero che invece su questo si possa tornare indietro e spero che ancora ci sia la volontà di fare una legge ampiamente condivisa. Io penso che lo possiamo fare e che possiamo fare anche una legge rivolta a tutti, non solo a chi ha la capacità e la forza di rappresentazione politica, sociale e culturale, ma anche a chi non ha voce .

Fonte: Il mio intervento in Aula durante la discussione generale sulla proposta di legge sull’omofobia | Eugenia Roccella.

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