Per fonti locali di AsiaNews l’aggressione di p. Helmi, sacerdote egiziano di Tripoli, non è legata all’estremismo islamico. Fino ad ora non è in atto alcun progetto degli islamisti per cacciare i cristiani dal Paese.
Tripoli (AsiaNews) – “L’operato di sacerdoti e laici cattolici in Tripolitania è ostacolato, non dall’estremismo islamico, ma dalla poca sicurezza, milizie armate e dal traffico di armi”. È quanto dichiarano fonti locali di AsiaNews, anonime per motivi di sicurezza. Esse sottolineano che l’aggressione di P. Magdi Helmi, sacerdote cattolico di origine egiziana, avvenuta il 2 marzo scorso a Tripoli da parte di una milizia armata, non è frutto dell’odio verso i cristiani, ma del caos che sta vivendo il Paese dopo la guerra civile culminata con la morte del dittatore Muammar Gheddafi.
Sacerdote della parrocchia di S. Francesco a Tripoli, p. Helmi ha lavorato in questi anni con i giovani cristiani residenti a Tripoli, seguendo soprattutto i fedeli di lingua araba e i migranti provenienti dal Sudan. “La sua aggressione – affermano le fonti – va inserita all’interno del clima di delinquenza e violenza che si respira nel Paese. Fino ad ora tali atti non sono frutto dell’odio degli estremisti islamici verso la Chiesa e i cristiani”.
Per le fonti il vero problema è la Cirenaica, dove è più forte la fazione islamista. “A Bengasi, Derna e altre città – spiega – si sta assistendo a fenomeni molto più gravi di discriminazioni contro gli stranieri, per la maggior parte di religione cristiana. Ma è prematuro parlare di un piano premeditato per cacciare i cristiani dalla Libia”.
Dalla caduta di Muammar Gheddafi si sono moltiplicati i casi di aggressione o attacchi contro le minoranze straniere residenti in Libia. La comunità più colpita è quella egiziana, soprattutto i cristiani copti cattolici e ortodossi. Lo scorso 3 febbraio un gruppo armato ha attaccato un edificio religioso nella capitale della Cirenaica e aggredito due sacerdoti copti, p. Paul Isaac e il suo assistente.
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