UNIONI GAY/ Ecco perché il matrimonio tra uomo e donna non è un’invenzione culturale

Salvatore Abbruzzese
mercoledì 23 gennaio 2013

A Parigi, domenica 13 gennaio, diverse centinaia di migliaia di persone hanno sfilato per chiedere al governo di non riconoscere alle coppie gay il diritto all’adozione. Alla vigilia dell’evento, Danièle Hervieu-Léger – una delle voci più brillanti della sociologia delle religioni contemporanea – in un articolo su Le Monde ha parlato di “occasione mancata per la Chiesa”, rimproverando a quest’ultima la discesa in campo accanto al fronte proibizionista. L’argomentazione è quella già nota: il modello della famiglia composta da un uomo e una donna è una costruzione culturale prodotta dalla Chiesa stessa e ripresa da uno Stato laico che ha sostituito al diritto divino quello dell’ordine naturale. Una tale costruzione sarebbe in contraddizione con almeno tre fenomeni emergenti: l’estensione dell’ambito dei diritti individuali, il venir meno della plausibilità dell’ordine naturale, il passaggio dalla famiglia coniugale a quella relazionale. La conclusione è sferzante: l’evidenza del matrimonio omosessuale (e del conseguente diritto all’adozione) finirà per imporsi e non implicherà affatto la fine di una civilizzazione: nell’attaccarla la Chiesa ha ingaggiato una battaglia che ha già perso.

Dietro una tale presa di posizione ci sono due assunti molto diffusi nella sociologia contemporanea e tra loro connessi. In primo luogo è in opera il paradigma relativista in virtù del quale, tanto nell’ordine della natura quanto in quello della cultura, non esistono principi assoluti né valori universali. I valori sono sempre di parte, provenienti dall’una o l’altra delle istituzioni culturali e, poiché riflettono specifici assetti di potere, lo spacciarli per universali da parte di queste stesse istituzioni – ed è il caso della Chiesa – è segno di colpevole malafede. Il secondo assunto sostiene che tutti i principi e i valori non solo vengono acquisiti attraverso la socializzazione, ma sono da questa stessa mantenuti in vita. Il soggetto, questa la tesi estrema, non sottoscrive consapevolmente e volontariamente dei valori, ma è strutturato dai valori che trova: non ha delle ragioni per sceglierli, ma vi è invece spinto dai diversi condizionamenti culturali ai quali soggiace.

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