Bengasi, l’Emirato alle porte | La Nuova Bussola Quotidiana

di Gianandrea Gaiani

I parlamentari libici eletti il 25 giugno scorso si riuniscono come carbonari in un hotel a Tobruk, i Fratelli Musulmani che avevano quasi conquistato la maggioranza nel vecchio parlamento si riuniranno presto a Tripoli mentre a Bengasi e i qaedisti di Ansar al-Sharia hanno sconfitto i militari del generale Khalifa Haftar e proclamato l’Emirato.

Basterebbe questa rapida fotografia della situazione libica per sintetizzare Il disastro in atto nella nostra ex “quarta sponda”. Sul fronte politico, dopo la riunione informale del 2 agosto, si è tenuta ieri a Tobruk, in Cirenaica, la prima seduta ufficiale del nuovo Parlamento libico eletto lo scorso 25 giugno. In realtà solo 188 deputati su 200 sono stati eletti perché in 12 circoscrizioni non si poté votare a causa delle violenze in atto e alla seduta inaugurale erano presenti 160 parlamentari.

Nell’incontro preliminare è stato trovato un accordo sulla necessità di rispettare l’enunciato costituzionale e il suo testo. “La riunione si tiene a Tobruk e non a Bengasi, come previsto in origine” ha aggiunto Suheili, “perché il ministero dell’Interno ci ha comunicato che la zona di Bengasi non è sicura, ma torneremo là non appena possibile”.

A Tobruk c’era anche il premier ad interim Abdallah al-Theni ma erano assenti dalla seduta inaugurale i deputati eletti a Misurata, che ne contestano la validità e intendono riunirsi a Tripoli e successivamente Bengasi. Nuri Abu Sahamein, presidente del Parlamento uscente ha convocato sempre per  lunedì un’altra sessione parlamentare inaugurale da tenersi nella capitale. La ragione è evidente: l’alleanza tra Fratelli Musulmani e milizie di Misurata è stata allargata ad Ansar al-Sharia e ad altre milizie salafite con l’obiettivo comune di trasformare la Libia in un regime islamista.

La frammentazione politica e la crisi di rappresentatività della giovane democrazia nata dalla guerra (della NATO) contro Muammar Gheddafi ma mai decollata si riflettono nella situazione militare. Oltre agli scontri tribali in atto da tempo nel sud desertico (Fezzan) per il controllo dei traffici illeciti (armi, droga e immigrati clandestini) a Bengasi e Tripoli sono in corso due battaglie decisive per le sorti della Libia e per l’unità del Paese.

Nella capitale le milizie di Misurata tentano da giorni di strappare l’aeroporto al controllo delle milizie di Zintan, alleate di Haftar e nemiche degli islamisti. Il risultato è una lunga battaglia finora senza vincitori né vinti che ha distrutto l’aeroporto, i velivoli civili parcheggiati e i depositi di carburante. Nella sola giornata di domenica, i morti sono stati 22, secondo fonti del governo libico ad interim citato da al-Jazira.

A Bengasi la situazione è ancora più difficile per le forze anti-islamiste poiché le truppe del generale Haftar, insorto mesi or sono per combattere gli islamisti raccogliendo l’adesione di quasi tutte le forze militari, sono in rotta. I miliziani di Ansar al-Sharia hanno preso il controllo di tre basi e di gran parte della città dopo aspri combattimenti. Secondo alcune fonti Haftar sarebbe fuggito in Egitto dove preparerebbe un contrattacco che potrebbe vedere il Cairo giocare un ruolo ben più attivo nella crisi libica.

Nell’incontro con il premier italiano Matteo Renzi, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi sabato non ha usato mezzi termini. «Non c’è tempo da perdere, bisogna affrontare subito la crisi – ha detto al Sisi – e ho trovato Renzi d’accordo su questo punto». Sulla Libia, che è “la vera questione” regionale, Renzi ha ricordato che Italia ed Egitto «sono i due principali vicini» del paese nordafricano. L’impatto che la sua instabilità produce in termini di terrorismo e di flussi migratori è enorme. «Il 96% dei flussi di immigrati irregolari che si riversano sulle nostre coste arriva dalla Libia – ha detto Renzi – Possiamo usare tutti gli slogan che vogliamo, ma per arrivare a una soluzione, dobbiamo risolvere il problema della Libia. L’Italia porterà la questione Libia in discussione al vertice Nato del 4 e 5 settembre» in Galles. Anche Sisi ha ricordato il grave impatto che la crisi libica ha sull’Egitto in termini di sicurezza, visto che «da quando è caduto il regime libico, il Cairo è da solo a controllare 1.200 chilometri di confine», preso di mira da trafficanti di ogni genere  che hanno già ucciso una ventina di guardie di frontiera egiziane.

L’ipotesi che per gestire la crisi libica stia forgiandosi un asse italo-egiziano è tutta da verificare perché non è detto che Roma sia pronta a impegnarsi in un’operazione militare di sostegno alle forze laiche libiche che assomiglierebbe a una “piccola Enduring Freedom”.

D’altra parte è invece molto più probabile che, in assenza di una rapida iniziativa internazionale di cui non si vede l’ombra, l’Egitto decida di intervenire con un’offensiva lampo in Cirenaica che elimini la minaccia di Ansar al-Sharia e delle milizie qaediste e salafite per consegnare la regione, una volta “bonificata” al generale Haftar. Un attacco simile a quello “punitivo” effettuato nel 1977 dall’esercito egiziano contro le forze di Gheddafi, ma teso in questo caso a garantire la sicurezza dei confini egiziani.

Il disinteresse delle potenze occidentali per la crisi libica è ben sintetizzato dalla fuga di tutti i diplomatici dal Paese e dall’evacuazione dei cittadini stranieri. Circa il ruolo dell’Italia il presidente della commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre (Pd), in un’intervista al Corriere della Sera sembra preparare il terreno a un intervento militare italiano.

«La situazione in Libia è arrivata a un punto limite. Il governo di Tripoli da solo non ce la può fare a favorire la stabilità politica con la costruzione del nuovo Stato, a disarmare le milizie e a sconfiggere quelle bande di criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Serve un intervento sotto l’egida dell’Onu. Una presenza militare vera che, tra l’altro risponderebbe a una domanda di aiuto che da quel Paese è già arrivata. Una presenza in cui l’Italia potrebbe, anzi dovrebbe, avere il ruolo di guida, anche perché è l’unico Paese a non aver ancora chiuso la propria ambasciata a Tripoli». L’intervento di Latorre non è certo casuale e contiene anche l’analisi tempistica della nuova missione militare che si sta configurando. «Se il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunisse ad agosto alla sua riunione del 4 e 5 settembre il vertice della Nato potrebbe decidere eventualmente su come contribuire a questa missione».

La determinazione politica sembra esserci ma siamo certi di avere ancora un mese di tempo per decidere cosa fare in Libia per fermare l’avanzata dei jihadisti?

Fonte: Bengasi, l’Emirato alle porte.

Print Friendly, PDF & Email
Questa voce è stata pubblicata in Africa e Medio Oriente e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.