CAMBOGIA P. Pierre Rapin, martire sotto i Khmer Rossi e la “viva” comunità cattolica della Cambogia – Asia News

di Luca Bolelli

Durante l’invasione dei Khmer Rossi,il missionario francese aveva scelto di rimanere al fianco dei suoi fedeli. Dopo il suo omicidio, la cattolica Yei Niang ha tramandato a figli, nipoti e amici la testimonianza del sacerdote, per “non perdere la speranza nonostante tutto attorno fosse tenebra”. Da un missionario del PIME in Cambogia.

Phnom Penh (AsiaNews) – “Rimarrò fino a quando ci sarà anche solo uno di voi”: p. Pierre Rapin, missionario francese in Cambogia 40 anni fa, diceva così ai suoi fedeli durante gli sconvolgimenti portati da Pol Pot, quando il vescovo gli aveva suggerito di spostarsi in una zona più sicura. Ucciso dai Khmer Rossi, con la sua testimonianza il sacerdote ha reso la comunità di oggi “viva e piena di speranza”. In occasione del Natale e del nuovo anno, p. Luca Bolelli, 38 anni, missionario del Pontificio istituto missioni estere (Pime) in Cambogia da sei anni, racconta ad AsiaNews alcuni episodi della vita di Yei Niang, donna cambogiana che conosceva p. Rapin, e a cui i Khmer Rossi hanno portato via il marito, lasciandola sola a crescere tre figli. Oggi, Niang alleva i suoi quattro nipoti ed è “un esempio di forza per tutto il villaggio”.

Carissimi Amici,

è tradizione di ogni famiglia ritrovarsi insieme in occasione del Natale, ne approfitto anch’io a per venirvi a trovare anche se in ritardo…  e condividere un po’ di Cambogia. È il mio regalo, spero sia gradito.

Qualche giorno fa, Yei Niang (v. foto) mi raccontava di quando è stato ucciso padre Rapin. Sono passati 40 anni ma quel ricordo in lei è ancora molto vivo. Era una notte di fine febbraio, i Khmer Rossi già da alcuni mesi avevano occupato la nostra zona, con loro c’erano anche le truppe Vietkong alleate in una guerra comune contro l’America. Padre Pierre Rapin era arrivato a Kdol da un paio d’anni, dopo aver servito a lungo le comunità cristiane vicine al confine col Vietnam. Essendo francese, era considerato dai Khmer Rossi un nemico del popolo, lo sapeva bene. Le comunicazioni con il resto del Paese erano state interrotte, la missione di Kdol Leu era rimasta isolata, e solo tramite alcune lettere recapitate di nascosto p. Rapin riusciva a scambiarsi notizie con l’esterno. L’ultima la ricevette mons. Lesouef, si trattava più che altro di un biglietto: “I cristiani mi hanno chiesto di rimanere. Rimango. Sia fatta la volontà di Dio”. Il vescovo gli aveva suggerito di lasciare la missione e spostarsi in una zona piú sicura, ma prima di rispondere  P. Rapin aveva voluto chiedere il parere ai suoi cristiani. Al termine di una intensa riunione disse loro: “Rimarrò finché ci sarà anche uno solo di voi”, e scrisse al vescovo. Non passarono molti giorni che una bomba venne posta accanto alla parete della sua stanza per ucciderlo. I cristiani accorsero subito, Niang era tra loro. Arrivata, vide p. Rapin gravemente ferito, ma ancora vivo, mentre veniva trasportato all’ospedale locale. Gli stessi Khmer Rossi che avevano messo la bomba lo stavano ora portando via con la scusa di curarlo, poche ore dopo ne avrebbero invece restituito il cadavere. Sapendo prossima la sua fine, p. Rapin aveva detto ai cristiani: “Non cercate vendetta… li ho già perdonati”.

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