Gammy, i bimbi non sono piselli | La Nuova Bussola Quotidiana

di Tommaso Scandroglio

Siete al supermercato davanti ad uno scaffale pieno di barattoli di piselli. Ne prendete uno, fate qualche passo e poi vi accorgete che il barattolo è ammaccato. Che fate? Novanta persone su cento tornerebbero indietro, rimetterebbero al suo posto il barattolo difettoso e al suo posto ne prenderebbero uno senza ammaccature.

 

Questo è ciò che ha fatto una coppia australiana che è finita su tutti i giornali del mondo. Ma in ballo non c’erano piselli, bensì bambini. Il sugo della storia è questo. Pattharamon Janbua è una giovane donna thailandese di 21 anni, sposata e con due bambini di tre e sei anni. Particolare non di poco conto e non raro da quelle parti, Pattharamon è al verde. Le viene un’idea. Affittare il proprio utero per portare a termine una gravidanza per una coppia che non riesce ad avere figli. Pratica questa che è fiorente in quei paesi dove è altrettanto fiorente la povertà, Thailandia compresa. Il business del “Rent a mother” può cambiare la vita di quelle donne che sentono più i morsi della fame che i rimorsi di coscienza per aver venduto il proprio corpo.

 

La donna viene contattata dai committenti, una coppia australiana. Come per gli immobili, il tutto viene gestito da un intermediario che fa capo ad un’agenzia di uteri in locazione. Si stabilisce la cifra per l’incomodo: circa 12mila euro da pagarsi a rate fino all’avvenuta nascita. Poco, se pensiamo che di mezzo c’è un bambino. Moltissimo per le tasche di Pattharamon. Passa qualche settimana e si scopre che il mono-bimbo ha lasciato posto al bi-bimbo: la donna aspetta due gemelli. Un po’ come avviene nel mercato immobiliare dove l’agente di fiducia ti dà una dritta: spendi un poco di più ed invece di un monolocale ti porti a casa un bilo. Ed infatti per il bimbo aggiunto c’è un sovrapprezzo da pagare: la carne umana – del nascituro e della donna gestante – costa. Milleduecento euro e il secondo figlio è vostro. La coppia accetta.

 

Tra il terzo e il quarto mese un’altra sorpresa: uno dei due gemelli è affetto dalla sindrome di Down ed ha pure una patologia al cuore. La coppia non si scompone e dà ordine alla locatrice d’utero di abortire il figlio difettoso, di interrompere il processo di produzione umana. Quest’ultima non accetta perché la sue fede buddhista non glielo permette (sull’utero in affitto Buddha non poteva esprimersi perché ai suoi tempi non esisteva e dunque è scusato). I due bambini nascono e quello sano viene spedito in Australia, mentre quello con difetto di fabbrica rimane alla proprietaria dell’utero. Va da sé che la coppia non ha saldato il conto – rimangono da pagare 1.800 euro – perché loro all’inizio si erano impegnati con tanto di contratto per un solo figlio. Non possono farsi carico delle prove andate a vuoto. Il controllo di qualità sulla merce non era onere loro, siamo onesti.

 

Pattharamon al Sydney Morning Herald ha dichiarato: «Vorrei dire alle donne thailandesi di non entrare in questo business della maternità surrogata. Non basta pensare solo ai soldi. Se qualcosa va storto nessuno vi aiuterà e il bambino sarà abbandonato dalla società, da tutti. Dobbiamo assumerci la responsabilità di tutto questo». Quale ora il destino di Gammy, il bambino scartato? Un medico dell’ospedale dove il neonato è venuto alla luce ha aperto una sottoscrizione on line presso il sito Gofoundme per raccogliere fondi per mantenere Gammy e per darlo in adozione. Finora si sono raccolti 50mila dollari.

 

Una storia che, ammettiamolo, può scandalizzare solo i ben pensanti. Chi dice infatti “Dove siamo arrivati?!” si vede che si è addormentato da tempo durante questo lungo viaggio verso la nuova Auschwitz prenatale e non si è accorto che di stazioni della morte ne abbiamo già passate parecchie. Infatti la coppia australiana si è comportata né più né meno come qualche altra milionata di coppie che ha deciso di non portare a termine la gravidanza – iniziata senza aiuto di terzi – perché il feto era o poteva essere affetto da una patologia. E’ cosa ordinaria in tutto il mondo dove si pratica l’aborto scartare un bebè perché si sospetta che sia merce fallata.

 

Questa vicenda a cavallo tra Thailandia e Australia ci dà la prova che il nostro sguardo sui piccoli è il medesimo che abbiamo sui barattoli di piselli. L’aborto ha introdotto il concetto che la madre ha la proprietà sul figlio. La Fivet in modo analogo ha reificato il nascituro, cioè lo ha cosificato prevedendo la possibilità di concepire una persona in provetta, verificarne la qualità, crioconservarla, impiantarla in utero, etc. L’eutanasia made in Belgio ha allungato la falce della morte fino a raggiungere i bambini, terminandoli nel loro lettino se questi piccoli “oggetti” si sono rotti e soffrono. Ma più ordinariamente quante coppie conosciamo che hanno messo al mondo il proprio figlio perché complemento d’arredo di una vita borghesissima? Più per soddisfare il loro, seppur nobilissimo, desiderio di maternità e paternità che per autentico spirito di donazione?

 

Bellezza, questa è la nuova maternità high tech. Tanto sofisticata che ti permette, contratto alla mano, di usufruire della clausola “soddisfatti o rimborsati”, con la possibilità del reso se il prodotto ha un vizio di costruzione addebitabile alla casa madre.  Clausola che dovrebbe valere, se la logica commerciale non è un’opinione, anche per il bimbo ad oggi sano, ma che un domani potrebbe persino lui rivelare anomalie di funzionamento. Chissà quanto dura la garanzia sui bambini nati da madri surrogate. Oggi ormai gli scarti di produzione generativa sono buoni solo per chi ha il pallino dell’ecologia umana, del riciclo umanamente sostenibile e non vuole buttare via nulla. E dunque vuoi vedere che quelli di Greenpeace sottoscriveranno l’appello per aiutare quel cucciolo di uomo di nome Gammy?

 

GAMMY E I DOTTOR STRANAMORE DELLA VITA Luigi Santambrogio

Fonte: Gammy, i bimbi non sono piselli.

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