I cristiani in fuga dall’Iraq. Mons. Warduni: per farcela dobbiamo restare uniti

Sono cinquemila le famiglie cristiane che hanno lasciato negli ultimi mesi la zona di Mossul nel nord dell’Iraq. Mossul, distante 400 chilometri da Baghdad, è tornata ad essere insicura e le violenze sono all’ordine del giorno malgrado il piano di sicurezza ideato dal premier, Nuri al-Maliki, e l’impegno dichiarato dell’esercito. Dal 2005 alla fine del 2011 sono stati almeno 69 casi di omicidio tra i membri della comunità cristiana, in particolare giovani e studenti di scuola e università. Della situazione dei cristiani in Iraq Fausta Speranza ha parlato con mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, che innanzitutto allarga il discorso a tutto il Medio Oriente:
R. – La situazione in Medio Oriente, in genere, non è buona – come tutti sanno – e questo influisce anche sull’Iraq. Inoltre, la nostra situazione non è tranquilla perché ci sono diverse questioni tra il governo, i partiti e le confessioni e ciò influisce negativamente su tutto il Paese. Noi dobbiamo parlare innanzitutto dela situazione in generale degli iracheni, perché i cristiani vivono in questo ambiente. In più, il numero di noi cristiani è minore rispetto a quello degli altri, specialmente dei musulmani, e questo ci fa vivere tante altre difficoltà. La fuga dei cristiani, purtroppo, non si ferma e avviene ovunque: da Mosul, dal Nord, da Baghdad. I cristiani di Mosul in genere vanno al Nord oppure fuggono all’estero, verso altre nazioni. Da noi manca la pace, manca la sicurezza, mancano le occasioni di lavoro.

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