IL CASO/ Dall’Inghilterra il trucco di chiamare “cura” l’aborto e l’eterologa – Il Sussidiario.net

Laura Gotti Tedeschi

In Inghilterra una coppia di lesbiche che stava cercando di avere un figlio con lo sperma di un donatore si è vista rifiutare l’aiuto per il trattamento di fertilità da un medico cristiano per il quale era moralmente sbagliato che una coppia gay avesse dei figli. La coppia ha rivendicato il diritto a non essere discriminata in quanto lesbica, visto che avere un figlio è un diritto che prescinde dal sesso, dall’età, dalla religione, dalle preferenze sessuali.

Secondo le due donne il medico avrebbe avuto il dovere di aiutarle nel processo che le avrebbe portate ad ottenere la gravidanza. Ma sembra che nella clinica pubblica del Lancashire, dove le due donne hanno iniziato la terapia, nessun medico ancora si sia sostituito all’obiettore, e le due donne sono disperate soprattutto perché un’eccessiva attesa dall’inizio del trattamento comporterebbe il dover ricominciare tutta la procedura daccapo.

Si apre nuovamente la questione dell’obiezione di coscienza, per molti, soprattutto in Inghilterra dove la battaglia per la sua eliminazione è in corso, considerata un atto indignitoso e non professionale: un medico, infatti, dovrebbe sempre adempiere al suo dovere di cura a prescindere dalle sue convinzioni etiche e religiose e dalle caratteristiche personali del paziente.

La vera questione però non è se sia o meno dovere del medico fare il proprio lavoro mettendo da parte i valori e la morale personale, poiché che sia un dovere è già stabilito dal codice di deontologia medica. La vera questione è se tutte le pratiche che hanno provocato la nascita della figura dell’obiettore di coscienza siano davvero da considerare cure mediche a cui non ci si può sottrarre. Praticare un aborto e effettuare una fecondazione in vitro sono cure che un medico ha il dovere di effettuare? Se così fosse, certamente un medico non potrebbe mai e poi mai “obiettare” anche di fronte ad una situazione che non condivide moralmente: la cura del paziente è tra i primi doveri elencati nel codice deontologico medico, e venire meno a questi è una grave negazione della propria professionalità e soprattutto della propria umanità.

Ma nell’era della biomedicina e delle tecnologie riproduttive il concetto di cura medica è stato radicalmente trasformato. E’ nata una nuova branca della medicina che con la cura ha ben poco a che fare, ma ha più a che fare con la scienza. La scienza di cui parliamo tuttavia non è applicata ai lombrichi né ai motori delle automobili bensì all’uomo e all’aspetto più intimo della sua esistenza, la riproduzione. Ecco quindi che un’altra scienza pratica, l’etica, spunta fuori, checché fior fiore di scienziati si facciano prendere da attacchi di epilessia a sentire questa parola (lo scandalizzarsi non è prerogativa dei cattolici, a quanto pare).

I trattamenti di fertilità non sono annoverabili tra le cure mediche, perché non curano niente. Sono appunto “trattamenti”: chi è sterile rimarrà sterile, chi non può avere figli continuerà a non poter avere figli. L’aborto pure, con l’aggravante che la sua pratica non solo non cura nessuna persona ma ne danneggia due. La scienza, che è una grande invenzione umana degna dell’intelligenza che ci è stata donata, si è inventata il modo per rimpiazzare l’atto procreativo, laddove appunto impossibile a causa della sterilità o della omosessualità, con l’atto artificiale tra le quattro mura dell’ospedale, riuscendo a realizzare il desiderio di tanti di diventare genitori. Ma un medico è prima di tutto un uomo con senso morale, dunque legittimato a rifiutare ogni atto non medico che sia contrario ai suoi principi etici.

Il diritto all’obiezione di coscienza è sacrosanto. Eliminarlo vorrebbe dire venire meno a quel principio di libertà di scelta a cui si appellano coloro che vogliono vedere realizzati i propri desideri, anche quando sono contro natura. Se a un uomo viene richiesta un’azione che va contro la propria morale (azione che si reputa cioè sbagliata moralmente) anche in modo indiretto (cioè quando non si è diretti interessati dell’atto moralmente sbagliato, ma se ne sarebbe una concausa, come nel suicidio assistito), si è moralmente obbligati a non compiere quell’azione.

Il medico che si è visto richiedere di intervenire per un trattamento di fertilità per poter far avere dei figli ad una coppia di lesbiche e si è rifiutato di operare perché riteneva moralmente sbagliato per principio che una coppia omosessuale avesse dei figli ha avuto il diritto, e soprattutto il dovere, di seguire la sua coscienza. Non era in gioco la vita di una paziente ma solo un desiderio che sicuramente qualcun altro si sentirà legittimato a realizzare, con buona pace della libertà di scelta.

Fonte: IL CASO/ Dall’Inghilterra il trucco di chiamare “cura” l’aborto e l’eterologa.

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