La crisi egiziana, tra islamisti e militari ~ CampariedeMaistre

di Andrea Virga

Dopo i precedenti articoli, pubblicati su questo sito, riguardanti le rivolte arabe e in particolare la situazione delle minoranze cristiane in Medio Oriente, ritorniamo volentieri sull’argomento, anche perché l’evolversi della situazione, con l’avanzata degli islamisti e la persecuzione dei cristiani, ha purtroppo confermato le mie analisi. Ciò che più colpisce, a prima vista, della situazione politica in Egitto è la grande complessità sia delle forze politiche in gioco, sia delle reazioni dell’opinione pubblica internazionale. Vediamo di spiegare brevemente la questione.

Al governo socialista nazionale di Gamal Abdel Nasser – costruttore di un Egitto laico e moderno, libero dalle ingerenze straniere, e al tempo stesso proiettato in una prospettiva panaraba, ossia di unificazione delle popolazioni arabe, senza distinzioni religiose tra cristiani e musulmani – avevano fatto seguito i suoi successori Anwar al-Sadat, autore del trattato di pace con Israele, e Hosni Mubarak. La spinta nazional-rivoluzionaria si era smorzata e la corruzione dilagava, mentre, al tempo stesso, la popolazione aumentava esponenzialmente, grazie al miglioramento delle condizioni di vita. Queste contraddizioni sono esplose nel 2011 sulla scia delle proteste in Tunisia e altrove, dando luogo a proteste popolari di massa che hanno condotto alla caduta del governo di Mubarak e alla sua fuga.
In questo contesto, i Fratelli Musulmani, un movimento politico nato anch’esso con l’intento di opporsi al dominio straniero, ma fondato sulla legge islamica, hanno potuto rialzare la testa, dopo essere stati oppressi da Nasser. Da quando Sadat ha adottato una politica più tollerante nei loro confronti, salvo poi essere assassinato da fondamentalisti islamici, l’islamismo politico ha guadagnato terreno in Egitto. Grazie anche ai finanziamenti ricevuti da alcuni ricchi emiri stranieri, i Fratelli Musulmani avevano intrapreso un lavoro capillare di assistenza sociale alla popolazione, specie gli strati più poveri, acquisendo una vasta base di consenso popolare. Forti di questo appoggio da parte delle masse e della mancanza di forze politiche altrettanto organizzate, si sono candidati alle elezioni per la Costituente e per il Parlamento, ottenendo la maggioranza dei seggi, mentre il loro candidato, Mohamed Morsi, ha vinto le elezioni presidenziali del 2012. Inoltre, il Blocco Islamico, rappresentante i salafiti, ossia i fondamentalisti islamici, è arrivato secondo alle parlamentari.
Perciò, di fronte alle misure autoritarie prese da Morsi per accrescere il potere dei Fratelli Musulmani e islamizzare l’Egitto, c’è stata una generale levata di scudi non solo da parte di ampie fasce della popolazione egiziana, ma anche delle Forze Armate. Dopo circa otto mesi di violenze e manifestazioni contrapposte, e un generale rigurgito delle attività islamiste, i militari sono intervenuti con un colpo di Stato (3 luglio), sostituendo Morsi con il capo delle Forze Armate, Gen. Abdul Fatah al-Sisi, e costringendo vari ministri a dimettersi. Molti media islamisti sono stati chiusi e le reazioni violente da parte degli islamisti sono state represse nel sangue. Questi sono, in sintesi, i fatti, ma la divisione tra i sostenitori dell’ex-Presidente e quelli del governo golpista è trasversale.
In Egitto, il colpo di Stato è stato appoggiato dalle massime autorità religiose – il Papa copto Tawadros II e il Gran Sceicco di Al-Azhar (la più autorevole università islamica sunnita) Ahmed el-Tayeb –, e dagli altri partiti, a partire dal Fronte di Salvezza Nazionale, un’alleanza che comprende liberali, democratici, nasseriani (recentemente unificati in un solo partito). Perfino i salafiti si sono schierati contro i Fratelli Musulmani, che vedono come un concorrente per il controllo delle masse islamiste. Probabilmente, sperano che la repressione inasprisca la situazione e indebolisca i loro rivali, in modo da poter subentrare loro.
Fuori dall’Egitto, i Paesi occidentali – Stati Uniti e Unione Europea in testa – hanno condannato il golpe e la repressione militare, mentre Israele si è pronunciato a favore, data la preoccupazione per la presenza di milizie islamiste nel vicino Sinai. Allo stesso modo, Giordania, Kuwait, Arabia Saudita e Bahrein si sono pronunciate a favore del regime militare, paventando manifestazioni di piazza in casa propria, mentre il Qatar, che già finanzia i Fratelli Musulmani in Palestina (ossia Hamas) e Siria, continua a sostenere Morsi. Anche nel fronte antistatunitense le posizioni non sono chiare: mentre la Siria di Assad ha elogiato il colpo di Stato, in nome del comune nemico, Iran, Venezuela e Bolivia hanno condannato duramente le violenze dei militari e sostenuto la legittimità del deposto governo.
Peccato che i Fratelli Musulmani di “antimperialista” abbiano quasi nulla. È vero che sono antisionisti, ma come abbiamo più volte ripetuto, sono stati un nemico irriducibile dei movimenti e dei partiti nazionalisti e socialisti arabi. La loro dottrina politica combina il liberismo economico e la democrazia parlamentare con i precetti religiosi della sharia, in maniera del tutto analoga a certa destra religiosa americana, che si fonda sul fondamentalismo protestante. 
D’altra parte, occorre esercitare una sana prudenza prima di identificare i militari con il nazionalismo nasseriano. Al-Sisi, nominato alla massima carica dallo stesso Morsi, resta un generale di formazione statunitense, in ottimi rapporti con Israele, e in generale l’esercito resta un potere forte anche in campo economico, controllando il 40% dell’economia nazionale. Infine, gode dell’appoggio di quelle forze liberaldemocratiche e borghesi che vorrebbero occidentalizzare l’Egitto e mantenere il proprio predominio economico, mentre i nasseriani, ancorché presenti, restano una minoranza.

Ad ogni modo, c’è un elemento fondamentale che ci consente di affermare che la giunta militare rappresenta in questo caso il male minore, ossia la sua laicità. In questi giorni, gli islamisti hanno gettato la maschera e sfogato la loro rabbia contro decine di luoghi di culto e istituzioni cristiane, sia copte sia ortodosse o cattoliche. Come in Siria, il pugno di ferro dell’Esercito è l’unico baluardo che difende i nostri fratelli dalle persecuzioni religiose. Il clero locale lo sa bene e sostiene il governo, sia pure disapprovando certi eccessi. È perciò opportuno seguire questa linea, pur tenendo presente i gravi limiti delle forze armate e della coalizione politica al potere.

Fonte: La crisi egiziana, tra islamisti e militari ~ CampariedeMaistre.

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