La nuova bussola quotidiana quotidiano cattolico di opinione online – Con la RU486 l’aborto si impenna

di Giovanna Arcuri

Sono quasi diecimila le confezioni di RU486 vendute nel 2012. E’ un dato reso noto dalla Nordic Pharma, l’azienda che distribuisce il preparato abortivo in Italia. Le vendite, e quindi gli aborti chimici, hanno avuto un’impennata del 30% rispetto al 2011. Circa il 50% delle confezioni viene venduto in sole tre regioni: Piemonte, Puglia, Toscana. Invece nel Lazio e Lombardia – che contano un terzo di tutti gli aborti chirurgici – sono solo 1.400.

Insomma, per citare alla rovescia Mary Poppins, la pillola non va giù, bensì su. L’aumento di aborti con la RU486 convalida il fatto che gli aborti non sono in diminuzione nel nostro Paese – come con slancio teneva a sottolineare qualche mese or sono il Ministro della Salute Balduzzi – ma la pratica abortiva ha subito solo un fenomeno migratorio: dalle pratiche chirurgiche a quelle farmacologiche.
Se poi andiamo a sommare le altre metodiche che possono avere effetti abortivi come la pillola del giorno dopo, la spirale, la pillola anticoncezionale, ecc. possiamo dire che gli aborti sono in aumento. Offrendo più strumenti per abortire è intuibile che gli aborti crescano.

Il dott. Marco Durini, direttore medico dell’azienda, è entusiasta: “Si può genericamente affermare che circa il 40% degli aborti che coinvolgono gravidanze al di sotto delle 7 settimane (ovvero l’indicazione d’uso della pillola) è effettuato in regime farmacologico”. Però c’è anche chi, nelle stesse fila abortiste, è scontento. Ad esempio la dott.ssa Irene Cetin, primario di Ostetricia e ginecologia al Sacco di Milano, e la dott.ssa Anna Maria Marconi, primario di Ostetricia e ginecologia al San Paolo sempre di Milano, sostengono che la pillola da loro non è decollata perché i tempi prescritti dalla legge per somministrarla sono troppo stretti: prima della settima settimana di gestazione, cioè appena una donna si accorge di essere incinta.

Se poi si aggiunge – tiene a precisare la Marconi – che la legge prevede un periodo di riflessione di una settimana prima di abortire i tempi sono davvero risicati. Ma allora perché in alcune regioni arriviamo ad un’ampia diffusione – quasi il 40% su tutti gli aborti prima della settima settimana – e in altre invece tocchiamo pochi punti percentuali?

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