PAKISTAN Islamabad: plausi e critiche alla mozione parlamentare per la protezione di chiese e templi – Asia News

di Jibran Khan
Il Parlamento ha approvato all’unanimità una risoluzione (non vincolante) che invita il governo a tutelare i luoghi di culto delle minoranze. Mons. Rufin Anthony: passo positivo. Parere favorevole anche dal portavoce del Consiglio degli ulema e da un leader indù. Critico Paul Bhatti: “E’ già una responsabilità del governo, prevista dalla Carta; bisogna applicare norme che già esistono”.

Islamabad (AsiaNews) – Reazioni contrastanti fra leader religiosi, attivisti e membri della società civile sulla risoluzione votata ieri dall’Assemblea nazionale, che invita il governo a  prendere misure adeguate a protezione dei luoghi sacri delle minoranze religione. Il provvedimento, approvato all’unanimità, chiede all’esecutivo di stanziare reparti speciali in centri per l’attività di culto “sensibili e a rischio attentati”. A promuovere l’iniziativa, sostenuta da un ampio spettro di partiti, il deputato Ramesh Kumar Vankwani della Pakistan Muslim League-Nawaz (PML-N). Nella dichiarazione finale di voto si legge che “questa camera condanna gli attacchi ai luoghi sacri delle minoranze” e invita l’esecutivo a prendere “le necessarie contromisure, secondo priorità” per la loro “salvaguardia”. Tuttavia, essa non è vincolante per il governo di Islamabad anche se riveste una forte carica simbolica e potrebbe avere risvolti pratici nell’immediato futuro.

Mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, parla di “passo positivo” e che potrebbe mandare “un segnale positivo in contesto caratterizzato da forti tensioni”. Il portavoce del Consiglio degli ulema pakistani Muhammad Hafeez ricorda che, in passato, si è già cercato di dar vita ad una Authority per “proteggere i luoghi di culto”, ma elementi “corrotti” della società hanno affossato il progetto. “Mi auguro proprio – aggiunge – che tutto questo non accada ancora”. Per p. Arshed John, dell’arcidiocesi di Lahore, è un passo “incoraggiante”, perché a ogni esplosione di violenza contro le minoranze “è associato un attacco ai luoghi di culto”. Harish Chand, leader religioso indù originario del Sindh, è favorevole all’iniziativa, perché “in passato templi indù sono stati oggetti di attacchi” e auspica che “questo passo non rimanga solo sulla carta”.

Di contro, non risparmia critiche all’iniziativa Paul Bhatti, ex ministro federale per l’Armonia nazionale e leader di All Pakistan Minorities Alliance (Apma), secondo cui “non era necessario far passare una risoluzione in Assemblea”. Secondo la Costituzione del Pakistan, spiega, è dovere dello Stato proteggere i luoghi di preghiera delle minoranze religiose; e anche secondo la legge coranica “i luoghi di preghiera devono essere protetti”, si tratta di una “responsabilità del governo”. E per questo “non ci vuole una risoluzione”.

Per il leader cattolico è importante sottolineare che quanti si sono macchiati di gravi reati contro le minoranze, il più delle volte “non sono stati sottoposti a inchiesta”, come nel caso della Joseph Colony di Lahore dove sono state bruciate oltre cento case e i colpevoli sono tuttora liberi. “È una risoluzione senza significato – conclude – mentre bisogna mettere in pratica le norme che già esistono e difendere persone innocenti, troppo spesso vittime della violenza dei gruppi estremisti”.

Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l’islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l’Indonesia. Circa l’80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, ma negli ultimi anni si è registrata una vera e propria escalation e che ha investito soprattutto i musulmani sciiti e i cristiani. Decine gli episodi di violenze, fra attacchi mirati contro intere comunità (Gojra nel 2009 o alla Joseph Colony di Lahore nel marzo 2013), luoghi di culto (Peshawar nel settembre scorso) o abusi contro singoli individui (Sawan Masih e Asia Bibi, Rimsha Masih o il giovane Robert Fanish Masih, anch’egli morto in cella), spesso perpetrati col pretesto delle leggi sulla blasfemia.

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