Come sembra ormai inevitabile per qualsiasi evento, anche la tragedia siriana viene letta secondo il “politicamente corretto” del momento, al servizio di interessi altri rispetto a quelli del popolo siriano e a favore dell’una o dell’altra fazione nella guerra civile in corso. Definizione questa accettata con fatica, perché significava ammettere che le pacifiche dimostrazioni iniziali in nome della libertà si erano trasformate in una vera e propria guerra interna, anche a causa degli interventi esterni.
Tuttavia, le descrizioni continuano in gran parte con toni manichei, da una parte tutti i buoni e dall’altra tutti i cattivi, invocando l’intervento di eserciti stranieri per una missione, si dice pudicamente, di “peace keeping”. Ma qui non c’è alcuna pace da mantenere e la missione straniera sarebbe di “peace enforcing”, cioè di imposizione della pace, un vero e proprio atto di intervento armato nelle vicende interne, per quanto drammatiche, di un altro Paese. Sarebbe cioè una guerra vera e propria mascherata da intervento umanitario. Come è stato fatto, peraltro, in Libia.
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