I milioni di cristiani “nascosti” in Arabia

Intervista con un prelato che parla di una realtà ancora troppo sconosciuta, tra discriminazioni e mancanza di libertà

di Marco Tosatti

E’ un fenomeno di cui non si parla spesso; ma la penisola arabica, terra d’islam per eccellenza, pullula di cristiani. I prossimi giorni, per una parte di essi, sarà uno dei pochi momenti di visibilità – limitata – qualche giorno in cui possono apparire, per poi tornare a vivere una vita di fede molto discreta. E addirittura catacombale in Arabia Saudita, dove secondo il nostro interlocutore, un prelato cattolico che esercita da molti anni il suo ministero in quella regione, si supera agevolmente il milione, si giunge forse a due milioni. Ma quei cattolici, forse l’esempio più imponente di discriminazione religiosa, alla pari con la Cina, non possono esistere come tali. Il regime wahabita punisce con l’arresto, l’espulsione e  altre pene ogni manifestazione di cristianesimo nei confini.

Il nostro interlocutore preferisce l’anonimato, per ragioni di sicurezza. Anche nei Paesi che tollerano in qualche forma la libertà di culto, “dipendiamo dalla buona volontà delle autorità locali”. E allora, dal momento che la cura pastorale del piccolo – ma neanche tanto – gregge è la prima preoccupazione, è la sensibilità dei signori del posto è molto alta, e le strumentalizzazioni sono sempre possibili, niente nomi e cognomi.

Le chiese del Kuwait, degli Emirati Arabi Uniti, in Oman, in Qatar, saranno piene, in questi giorni. E anche in Yemen si riuniranno intorno alle loro comunità piccolissime, i pochi cristiani collegati soprattutto alle missionarie di Madre Teresa, a Sanaa, Aden, Hodeida e Taif.

“Nei compound dove ci sono le chiese siamo liberi. Si farà la processione sul territorio della parrocchia; e tutte le cerimonie della settimana Santa le facciamo all’aperto”. Migliaia di persone partecipano. Le cerimonie per il venerdì Santo si succedono l’una all’altra, perché le chiese sono piene. Negli Emirati Arabi gli emiri hanno messo a disposizione gratuitamente il terreno del compound, e poi i fedeli con le loro offerte hanno costruito le chiese “Non abbiamo altre entrate”.

In tutta la penisola arabica poco meno di un centinaio di sacerdoti si occupano di oltre tre milioni di cattolici. Quanti siano in totale i cristiani non si sa, ma certamente sono molto numerosi. La maggior parte dei preti sono cappuccini, circa i due terzi; poi altri ordini religiosi, salesiani soprattutto, e sacerdoti “fidei donum”. La provenienza: India, Filippine, Libano, Stati Uniti e qualche europeo.

In Kuwait esistono solo due chiese, per 350 mila cattolici. Per la notte di Pasqua in tutti quei Paesi le messe cominciano verso le 18, alla fine del lavoro (è un giorno come un altro, nella penisola arabica).  Le messe saranno celebrate in numerose lingue dall’inglese all’arabo, dal tagalog (la lingua nazionale filippina) ai tanti idiomi parlati in India, il tamil, il singalese, il bengalese, il malayalam, l’urdu, e poi francese, italiano e polacco.

“La maggior parte dei fedeli sono asiatici; filippini indiani e un po’ del mondo intero. Qualche anno fa, in una parrocchia, avevamo fatto una piccola inchiesta: abbiamo oltre 90 nazionalità diverse. E non mancano America Latina e Africa”. E’ una Chiesa veramente, realmente e fisicamente pellegrina. “Siamo tutti stranieri; anche quelli che parlano arabo, vengono dalla Palestina, dal Libano, dall’Iraq. La nostra lingua comune è l’inglese, nella Chiesa, non l’arabo”. Sono gli asiatici soprattutto che marcano l’immagine della Chiesa. “Non ci sono fedeli autoctoni. Ce ne sono, pochissimi nello Yemen, una razza verso l’estinzione, a causa della regola dei matrimoni; l’uomo che sposa una musulmana è automaticamente considerato musulmano. La donna può restare cristiana, se il marito è d’accordo. Non ci sono speranze per il futuro di queste poche famiglie; ci vuole un’eroicità incredibile. Convertiti? Noi non accettiamo conversioni nel Paese; se anche si convertissero, non potrebbero praticare, sarebbero a rischio; e le nostre istituzioni sarebbero subito chiuse”.

Gli “evangelical” cercano di fare proseliti; ma non sono visti molto favorevolmente dalle Chiese tradizionali, come cattolici e anglicani, perché la loro attività ricade, in negativo su tutti i cristiani. “Qualche anno fa un gruppetto in un Paese dove c’è una libertà di culto limitata ha affisso dei manifesti sulle strade con slogan cristiani. Sono cose che non si fanno, in questa situazione. Sono stati mandati via, espulsi. Però hanno alimentato un’immagine negativa per tutti i cristiani”. Anche se poi, in realtà, il vero proselitismo è nell’altro senso.

Un grande problema è quello dei lavoratori stranieri arrestati. “E’ quasi impossibile entrare in contatto con le persone in prigione. Molti di loro sono innocenti, pagano per sbagli altrui. Sono Paesi in cui si va facilmente in prigione. Qualcuno che rimane troppo a lungo nel Paese, il visto è scaduto, ma il passaporto non è nelle sue mani, non può uscire. Allora può darsi – abbiamo avuto qualche caso –  che sia rimasto 250 giorni in più, e quando ha riavuto il passaporto, ha scoperto di dover pagare una multa alta, circa 20 euro al giorno, di multa. Insolvente, finisce in galera. Tutte queste persone, cristiane, sarebbero liberate immediatamente se si convertissero. Non amano sentirlo dire, le autorità, ma è la realtà. Per crimini minori si esce se si diventa musulmani; per quelli maggiori c’è una diminuzione di pena, molto forte, essenziale”.

Fonte: Vatican Insider.

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