Licenziata: disse no alla pillola del giorno dopo | Tempi.it

marzo 18, 2015Benedetta Frigerio

Intervista a Margherita Ulisse, che ha perso il posto all’ospedale di Voghera, e al consigliere lombardo Stefano Carugo, che ha portato il suo caso in Regione

MANOVRA: OGGI IL VARO, STRETTA SU SPESE, MA ANCHE TASSENon riesce più a trovare lavoro Margherita Ulisse, l’infermiera dipendente dell’ospedale di Voghera che il 15 maggio del 2014 in pronto soccorso si è rifiutata di somministrare a una ragazza il Norlevo (“pillola del giorno dopo”) illustrandole i possibili effetti abortivi del farmaco.

COSTRETTA A DIMETTERSI. In seguito la giovane ha deciso di denunciare l’infermiera, ma solo a ottobre i media hanno dato eco alla notizia montando un caso intorno all’obiezione di coscienza. Anche se, spiega la Ulisse a tempi.it, «sin dall’inizio del mio lavoro in pronto soccorso, dal settembre 2013, sia il caposala sia il primario sapevano cosa pensavo e come agivo, tanto che per ben sette mesi mi avevano pressata: volevano che tradissi la mia coscienza e più volte mi avevano impedito di realizzare un opuscolo informativo per le pazienti. Quando poi il fatto è stato dato in pasto ai media, sono stata costretta alle dimissioni. “Ulisse, con la coscienza che si ritrova non è proprio adatta al pronto soccorso”, mi dissero».

«TENGA LA COSCIENZA PER SÉ». Dopo la tempesta mediatica, l’azienda ospedaliera ha indagato sul caso per proporre all’infermiera il licenziamento volontario: «Ricordo ancora con tristezza le parole che mi rivolse un dirigente prima delle dimissioni: “Ulisse, mi dia retta, la coscienza se la tenga per sé, compili il foglio del triage e demandi tutto al medico, mi dia retta che le conviene, la giovinezza è una malattia che passa presto!”. Mi hanno lasciata senza alternative: l’azienda non avrebbe aperto il provvedimento disciplinare per omissione d’atti d’ufficio solo se avessi smesso di agire secondo coscienza». Dopo un certo periodo di inattività l’infermiera ha chiesto la revoca delle dimissioni, perché «secondo accordi verbali avrei potuto revocarle senza fretta, dato che non sarebbero state deliberate prima di dicembre». Invece la richiesta revoca non è stata accolta.

SCARICATA DAI SINDACATI. Per difendere il diritto al lavoro della Ulisse e di tutti gli infermieri obiettori, martedì 24 febbraio il consigliere regionale Stefano Carugo ha presentato un’interrogazione in Commissione Sanità. «Perché quando la Ulisse ha chiesto il reintegro in ospedale si è sentita abbandonata perfino dai sindacati che, anziché tutelarla come sarebbe stato loro dovere, le hanno risposto di farsi difendere dal vescovo», spiega Carugo a tempi.it. Racconta l’infermiera: «Mi sono sentita rispondere dai sindacati che “onestamente noi siamo per l’aborto e per la pillola. Capisce?”. Ho fatto notare loro che c’era in gioco un posto di lavoro a causa di una discriminazione, ma la cosa più carina che hanno saputo dirmi è stata: “Se dovessero concederle un altro colloquio ci ricontatti telefonicamente. Buon Natale!”. Beh, sto ancora aspettando».

PILLOLA 5 GIORNI DOPO DAL 2 APRILE IN VENDITA IN FARMACIAIL DETTATO DEONTOLOGICO. Carugo sottolinea che «l’infermiera è stata trattata come se avesse ucciso qualcuno, mentre ha agito proprio allo scopo contrario. Perciò ho fatto notare alla Commissione quanto sia falso il mito secondo cui i medici abortisti sarebbero discriminati dagli obiettori di coscienza». L’assessore ha incalzato anche il direttore generale del’Asl di Pavia: «Gli ho chiesto: “Come difendete voi gli infermieri che, come da statuto, hanno il diritto di esercitare l’obiezione di coscienza?”». La Ulisse, infatti, ricorda che «il nostro codice deontologico recita così all’articolo 8: “L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrasto con i princìpi etici della professione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza”. Mentre all’articolo 9 si legge che “nell’agire professionale, si impegna ad adoperare con prudenza al fine di non nuocere”. L’articolo 16 poi stabilisce che “l’infermiere si attiva per l’analisi dei dilemmi etici vissuti nell’operatività quotidiana e promuove il ricorso alla consulenza etica”. Il 38, infine, prevede che chi svolge questo mestiere “non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene dall’assistito”».

ESSERE OBIETTORI. La donna vuole denunciare l’assurdità di «uno Stato che avalla la soppressione di piccoli innocenti ma tralascia di aiutare le donne confuse». Per di più c’è un maschilismo nascosto dietro la bandiera femminista, dice, dato che «spesso sono i partner a spingere le donne a chiedere la pillola». Ma perché un caso come il suo dà tanto scandalo quando in fondo non è così difficile farsi prescrivere la pillola del giorno dopo da qualcun altro? «Ricordo un ragazzo che dopo aver parlato con me non ha più proposto l’aborto alla fidanzata. Un mio collega, invece, aveva sconsigliato a una donna l’uso della pillola, poi non aveva più saputo niente di di lei e del suo uomo. Ha incontrato di nuovo la coppia quattro anni dopo: i due avevano deciso di tenere il frutto del proprio amore e che poi hanno avuto altri due figli. Il mio collega aveva semplicemente detto loro: “Ripensateci, sono papà da pochi mesi e vi posso garantire che è davvero bello essere genitori”».

DIRITTI LESI. Se la Ulisse ha rispettato la legge, perché allora si ritrova senza lavoro? Secondo Carugo «è una vergogna, come ho detto in Consiglio: sulla carta si riconosce un diritto che la Regione Lombardia non è in grado di tutelare, anzi ora permette che chi se ne avvalga venga discriminato». L’assessore regionale alla Sanità, Mario Mantovani, ha risposto all’interrogazione di Carugo spiegando che l’infermiera ha rifiutato un’offerta alternativa di assunzione nel reparto di cardiologia avanzata dall’azienda. Ma lei smentisce: «Non è vero, in cardiologia ho lavorato solo un mese, a dicembre, quello di preavviso necessario a non perdere il Tfr». Il caso per Carugo è tanto più emblematico «del pericolo che corrono coloro che non vogliono partecipare all’aborto di bambini. Soprattutto se si tratta di infermieri, ancor meno tutelati dei medici».

«RIFAREI TUTTO». A conti fatti, comunque, l’infermiera non tornerebbe indietro: «Ho studiato e so che per essere certi che l’effetto della “pillola del giorno dopo” sia solo contraccettivo bisognerebbe assumerla entro tre minuti dal rapporto. Quindi non va chiamata contraccettivo, ma “antiannidatorio”, e penso che l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco, ndr) dovrebbe scrivere sui bugiardini la verità. Quindi sì, rifarei tutto, perché chi sono io per impedire a qualcuno di esistere? Rifarei tutto perché desidero che le donne in difficoltà siano sostenute in tutti i modi possibili invece che essere strumentalizzate e lasciate sole. Rifarei tutto perché i miei coetanei (e non solo loro) possano comprendere la grandezza e la bellezza del corpo umano proprio e altrui, dandosi tempo fino a quando non si sentano pronti ad accogliere le conseguenze dei propri atti». E «sì, vale la pena anche di perdere il lavoro per affermare ciò in cui si crede e non barattare la verità».

@frigeriobenedet

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