Lonsdale «Io cambiato dal film su Tibhirine» | Cultura | www.avvenire.it

Il cinema è, rispetto a qualsiasi altro ambiente, il più propizio per testimoniare la fede. Per lungo tempo gli attori credenti non hanno ammesso di essere tali perché molte persone di cinema, le più appassionate, erano di sinistra e disprezzavano la fede, considerandola un arretramento dell’intelligenza. Quando io evocavo Dio, mi si ritorcevano contro così: «Senti, smettila di rompermi le scatole con questo!». E così noi, credenti, intimiditi, non dicevamo niente. Uno dei miei grandi amici, monsignor Dominique Rey, oggi vescovo di Tolone, un giorno mi ha detto: «Quando si possiede un tesoro come la fede, non bisogna conservarlo per noi stessi, ma è necessario condividerlo, parlarne con gli altri intorno». Allora, sotto la sua guida, abbiamo fondato un gruppo di preghiera per gli artisti che è durato una ventina di anni.

Questa fu un’incredibile esperienza di accoglienza, condivisione e preghiera gli uni per gli altri. Molte persone vi sono approdate con gravi situazioni di infelicità. Le abbiamo aiutate, abbiamo pregato per loro, si sono sollevate, sapevano che non erano più sole. In fondo in fondo, gli artisti non sono così lontani dalla fede: cercano la bellezza, la verità, l’espressione, l’emozione. Ma fanno un mestiere pieno di tentazioni: gloria, vanità, soldi … Nella mia vita non ho mai stabilito una frontiera tra l’arte e la fede. Sono artista e credente. Mi si domanda spesso come ho potuto fare con convinzione il teatro di avanguardia, quello di Beckett per esempio … Non c’era in quel caso una messa in discussione dell’idea di Dio? In Aspettando Godot si attende per lungo tempo … Nella nostra epoca lo spirituale si incarna piuttosto, come in Beckett, nella disperazione, in uno sguardo assai pessimista, anche pieno di humour, sulla condizione umana, elevando in alto la miseria umana. Uno sguardo di incredibile commiserazione.

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