Mafia, tangenti, arresti? All’Expo il pericolo è la famiglia| La Nuova Bussola Quotidiana

di Luigi Santambrogio 10-01-2015

E adesso anche Expo fa lo schizzinoso e intima al governatore lombardo Roberto Maroni di togliere il logo della universale esposizione dai manifesti che annunciano il convegno del 17 gennaio sulla famiglia. A difendere l’onorabilità e la buona reputazione del lezioso marchio contro gli sporchi, brutti e cattivi dell’omofobo appuntamento sono Giuseppe Sala, gran commissario unico dell’Expo (ex braccio destro dell’allora sindaco Moratti, ora è passato nell’area renziana del Pd) e Vicente Gonzales Loscertales, segretario generale del Bie, il Bureau international des Expositions che riunisce 168 Paesi e sovrintende gli eventi globali come quello di Milano.

Entrambi gli universali capataz hanno scelto come location per il loro indispettito “non ci stiamo” La Repubblica, il quotidiano, cioè, che per primo ha lanciato la grande balla che al convegno si sarebbe discusso su come curare i gay e altri soggetti del popolo dei sessualmente deviati. Nonostante le smentire e le precisazioni (degli organizzatori e della Regione Lombardia che ospita l’evento) che a tema del convegno c’è solo e soltanto la difesa della famiglia costituzionalmente fondata e le politiche di sostegno, la bufala ha continuato a circolare nei media. A soffiare sul fuoco delle panzane, le associazioni Lgbt, l’Arcigay e la sinistra, Pd e Sel, finalmente unita sotto il segno dell’arcobaleno.

Dopo il primo colpo sparato da Repubblica (clicca qui), anche il Corriere della Sera è tornato sia pure con ritardo sul luogo del delitto, rilanciando la stessa menzogna dell’appuntamento omofobo targata Alleanza cattolica, Fondazione Tempi, Obiettivo Chaire (cicca qui) e Nonni 2,0. Forse anche incoraggiato dalla sorprendente quanto incauta uscita del Foglio dove un Giuliano Ferrara imbufalito, e pure lui accecato dall’effetto lucciole per lanterne, sparava acido muriatico sugli organizzatori del meeting omofobo e gay terapeutico (clicca qui). Accortosi del granchio colossale, e dopo aver ottenuto dai relatori garanzie scritte, Ferrara tentava il giorno dopo un lieve retromarcia, sussurrando timidamente mezze scuse e, tanto per tenersi l’ultima parola, imbastendo un altro pezzo “riparatorio” che tuttavia non riparava un accidente. Però serviva al direttore per ribadire che curare i gay era una grande scemenza e che se anche gli organizzatori del convegno non l’aveva messo a tema, qualcuno di loro però lo pensava. Amen.

Adesso, il gioco dell’oca omofoba è tornato al via, là dove era partito, cioè Repubblica. Prima con il commissario Sala, poi con el señor Vicente Gozales Loscertales a dare copertura internazionale all’indignazione contro Roberto Maroni, accusato di leso logo e di abuso di marchio registrato. Sala dichiara che vuole rivedere il meccanismo di concessione «perché il nostro marchio non può essere messo in modo indiscriminato su ogni iniziativa» e invita subito il governatore a sbianchettare subito il simbolo di Expo dalla locandina del convegno. Dice che gli sono arrivate ben 700 mail di protesta e minacce di boicottaggio da parte di espositori e visitatori, evidentemente offesi dall’iniziativa pro family. Sala vuol darsi aree da manger, preoccupato solo di non rovinare il grande business di Expo 2015. Da qui l’appello diretto alle comunità omosessuali: «Incontriamoci e discutiamo di come sia possibile organizzare un coinvolgimento vero in Expo».

Coinvolgere i movimenti gay e Lgbt nell’organizzazione di Expo? E perché mai, in base a quali strampalate logiche spartitorie e, soprattutto, da quando gay, lesbo e trans sono diventati parti sociali, come Confindustria e sindacati, ammessi alla concertazione? Sala è un tecnico avvezzo a trafficare con la politica, ma questa sua ratio lo porta a considerare il mondo omosex come i panda della Cina: esemplari da proteggere e minoranze da liberare dal recinto, magari stabilendo delle quote arcobaleno nel cda di Expo. Beh, questa sì che è omofobia imprenditoriale e politica, e della peggiore specie.

Milano chiama e da Parigi Gozales Loscertales, segretario del Bureau risponde. Ecco come lo presenta lo zelante reporter di Repubblica: «Loscertales ne ha viste molte (di Esposizioni universali), fin da quella del 1992 nella sua Siviglia. È un diplomatico di lungo corso, abituato a parlare con il mondo e a misurare le parole. Ma questa volta, per affrontare il caso, diventato già internazionale, del convegno in odore di omofobia organizzato da Regione Lombardia il 17 gennaio, usa toni decisi». Quando si dice il giornalista come cane da guardia del potere: con un simile introibo, metà del lavoro è già fatto. Il resto è un bibì de bibò tutto pappa e ciccia. Il logo di Expo sul convegno?: «Un abuso». Le proteste? «Anche noi e abbiamo ricevute e non solo dall’Italia, ma anche dalla Francia, dagli Stati Uniti. Hanno ragione». E Maroni che se ne frega del pandemonio? «Visto che questo convegno può essere considerato offensivo e discriminatorio, adesso bisogna rispettare i diritti di tutti. E bisogna rispettare il logo di Expo, che è di tutti». Fine dell’intervista e arrivederci a Milano.

Con tale parterre, i gay possono stare tranquilli ed essere soddisfatti d’essere riusciti, ancora una volta, a truccare le carte secondo le loro nevrotiche ossessioni.Ci vuol niente a montare una bufala gigantesca quanto un expo: basta avere un paio di giornali che contano per amici, tipo Repubblica e Corriere, e anche tra i più forti dei poteri si allineeranno alla causa (Barilla insegna). Il gran manager Giuseppe Sala ha di che essere soddisfatto: dopo le sue dichiarazioni e del segretario parigino, il logo Expo è stato lavato e ripulito. Comunque, anche se il convegno si farà, lui avrà salvato la faccia e anche quella parte che dall’altra parte sta un po’ più in giù. Insieme al bel marchietto multicolore che firma la Fiera mondiale delle verdure e dell’alimentazione light, sotto la protezione di Vandana Shiva, Oscar Farinetti e Carlin Petrini. La prima è un’eco-ciarlatana, smascherata da tutte le riviste scientifiche del mondo, il secondo fa business con i ristoranti e vende cibo bio-chic a caro prezzo, il terzo pontifica con Repubblica e serve in tavola a Slow Food.

Ma questi personaggi al dottor Sala e al signor segretario Vicente y Gozales y Vappelapesca non disturbano. Così come, secondo loro, non rovinano il prezioso logo di Expo le numerose inchieste giudiziarie, gli arresti, il ritardo nei lavori, le infrastrutture di collegamento che mancano, la gestione degli appalti milionari affidato ad aziende controllate dalla mafia e le tangenti pagate a qualche politico per vincerli. Quisquilie e pinzillacchere davanti alla minaccia omofoba di un convegno che utilizza il logo per discutere pacificamente sulla difesa della famiglia tradizionale e sui modi per aiutarla.A questo punto, suggeriamo agli organizzatori una mossa a sorpresa: protestate e chiedete a Maroni di togliere subito dalle vostre locandine quel marchio di Expo così compromesso. Meglio la vecchia e affidabile rosa camuna lombarda di quella scritta arcobaleno e adesso pure gay friendly.

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