Persecuzione contro donne cristiane: matrimoni forzati e stupri | RIFLESSIONI

LUCA GERONICO

Una persecuzione tutta al femminile, che condanna le donne cristiane a una sorte di «morte vivente» negli 11 Paesi dove la persecuzione è giudicata «estrema». I Paesi in questione, in base alla World Watch List pubblicata il 15 gennaio da Open Doors, sono Corea del Nord, Afghanistan, Somalia, Libia, Pakistan, Eritrea, Sudan, Yemen, Iran, India e Siria.

Ora l’organizzazione pubblica, a complemento del suo rapporto annuale, quello sulla persecuzione religiosa di genere che colpisce donne e ragazze cristiane in contesti culturalmente e socialmente ostili: la «violenza sessuale» e il «matrimonio coatto». Entrambi gli abusi sono stati citati dall’84% delle persone che hanno partecipato alla ricerca dell’organizzazione internazionale nei primi 50 Paesi in cui, sempre secondo l’organizzazione, è più difficile vivere come cristiani. Per gli uomini, invece, le pressioni che devono subire per la propria fede si concretizzano in «violenza fisica, molestie economiche e detenzione inflitta dal governo».

Per quanto riguarda la “persecuzione al femminile” la combinazione tra violenza sessuale e matrimonio coatto mette in atto, in diversi contesti geografici, un tremendo e criminale mezzo di «esercitare potere e controllo sulle donne e ragazze cristiane, nonché uno strumento di punizione». In Asia, nel Medio Oriente, nel Nord Africa e nell’Africa sub-Sahariana – sostiene il rapporto di Opens Doors – la violenza sessuale «è spesso un crimine di opportunità che approfitta della complessiva emarginazione».

In Asia le donne cristiane «sono vendute come spose in Cina» a causa della «vulnerabilità delle comunità»; nella Penisola araba, «le famiglie tranquillamente sfruttano domestiche cristiane»; nell’Africa subsahariana, «milizie di assalitori attaccano regolarmente le donne nei villaggi cristiani o le rapiscono per farle vivere un’esistenza da schiave del sesso». In molti casi la violenza sessuale è esterna al matrimonio per «costringere la donna a sposarsi con il violentatore stesso ed è utilizzata intenzionalmente per disonorare la donna cristiana e, di conseguenza, la sua famiglia e comunità». «Matrimoni coatti» che, se all’estero mostrano una parvenza di rispettabilità, diventano «un contratto per giustificare la violenza sessuale, dal quale una donna non può scappare» e all’interno del quale «possono essere esercitate altre forme di violenza e pressione».

Quando subiscono una aggressione sessuale «le donne e le ragazze sopportano abusi fisici e psicologici indicibili – afferma Helene Fisher, specialista delle violenze di genere di Open Doors –. Se riescono a sottrarsi all’orrore di un matrimonio forzato, saranno comunque colpite per il resto della vita da uno stigma devastante e dal rifiuto».

in “Avvenire” del 25 febbraio 2020

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