Quando è l’accusa di omofobia che uccide (davvero) – Notizie Pro Vita

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Le lobby LGBTQIA(…) creano un caso “omofobia” al giorno, anche a costo di montare su delle fake news (ma di quelle che non si possono smentire, se no si viene esposti alla gogna mediatica).

Però poi accade che “l’omofobia” uccida davvero. 

E’ il caso della giovane August Ames, 23 anni: una porno attrice che pare si si sia rifiutata di girare un film con un omosessuale.

Questo le è costato l’accusa di omofobia, lo stigma,  la persecuzione mediatica: quel bullismo “anti – omofobico” che è altrettanto violento di quello omofobico, ma – a differenza di questo che viene condannato a ragione, e molte volte a sproposito, non è mai condannato (la Gaystapo è intoccabile…). La poveretta si è impiccata. Ne parla Antonio Gurrado su Il Foglio di ieri. 

«Non so, non ricordo se ho mai guardato video della pornostar August Ames; so però che da oggi non potrò più guardarne perché altrimenti penserò al suo corpo appeso al soffitto dopo un tweet in cui sfanculava tutti i suoi detrattori più aggressivi. È accaduto che avesse ricusato di girare una scena con un attore che in passato aveva interpretato film gay e, giubilata dalla produzione, avesse inviato un appello alle colleghe a non sostituirla nella parte. Ovvia è partita l’accusa di omofobia, che sui social network è diventata un tam tam selvaggio, del tutto dimentico della differenza fra una pornostar e una prostituta. Il motivo per cui un’attrice porno può essere ritenuta un simbolo di libertà sessuale è che da contratto può sempre decidere insindacabilmente con quale partner rifiutare di farsi riprendere senza ricadute lavorative. Altrimenti è sfruttamento. La polizia virtuale del pensiero unico, attivissima quando si tratta di difendere cause astratte, nell’additarla come omofoba ha dimenticato di rispettare questo dettaglio della sua vita personale e professionale. Assieme al suo corpo, dallo stesso soffitto penzola questa responsabilità. Aveva ventitré anni, se ancora vi sentite nel giusto».

Redazione

Fonte: Il Foglio

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