Quanto è alto il rischio Jihad in Albania e nei Balcani Occidentali | l’Occidentale

Intervista a Lavdrim Lita di Marco De Palma

19 Settembre 2014

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Domenica Papa Francesco sarà in visita a Tirana, ne abbiamo parlato con il giornalista Lavdrim Lita, che oltre alla visita del Pontefice fa il punto sulla minaccia jihadista nei Balcani Occidentali.

Che significato ha la visita del Papa in Albania?

L’appuntamento con Papa Francesco a Tirana è speciale. E la seconda volta che un Papa visita il Paese dopo la fine del Comunismo. La prima volta accadde nel 1993, con Papa Giovani Paolo II, accompagnato da Madre Teresa di Calcutta. La Chiesa Cattolica albanese è rinata venti anni fa e dopo la fine della dittatura si è ricostituita nelle sue strutture. Ma ricordiamoci che in Albania la vita religiosa è stata sottoposta a durissime pressioni, uccisioni di vescovi e preti fino alla realizzazione dell’ateismo ufficiale con il divieto, proclamato nel 1976, di ogni manifestazione di culto.

La rinascita della Chiesa Albanese può favorire la pacifica convivenza tra le religioni?

L’armonia religiosa è una virtù che storicamente ha caratterizzato gli albanesi e ci sono casi di costruzione di chiese da parti di musulmani e di una moschea da parte dei cattolici che lo confermano. Domenica ad attendere Papa Francesco in piazza Madre Teresa non ci saranno solo i cattolici ma anche ortodossi e musulmani. Lo vedrete con i vostri occhi.

C’è la minaccia dell’ISIS, ci sono i recenti arresti di jihadisti in Kosovo, Albania e in altri paesi dei Balcani. Che rischio si corre?

Non credo che, realisticamente, Papa Francesco corra alcun rischio venendo in Albania; del resto le forze di sicurezza nel nostro Paese in tutti gli Stati occidentali sono costantemente in allerta.

E l’islamismo militante?

In Bosnia Erzegovina un predicatore bosniaco salafita, Safet Kuduzovic, ha messo su la sua sulla pagina Facebook un fotomontaggio di Papa Francesco con sulla fronte scritto in rosso «Kafir», che vuol dire miscredente. Postando anche una bandiera nera… La crescita dell’islamismo militante nel Balcani occidentali è un fatto. E’ il prodotto di una serie di sforzi a lungo termine che il fondamentalismo ha compiuto con l’obiettivo di radicalizzare frange della popolazione. In Bosnia-Erzegovina dopo l’accordo di Dayton che diede fine alla guerra nel dicembre 1995 molti combattenti aspiranti jihadisti non sono stati allontanati dal paese ma sono rimasti sostenendo la causa estremista militante.

Come funziona il network fondamentalista nei Balcani Occidentali?

Nel corso degli ultimi decenni, alcuni movimenti islamisti hanno creato un infrastruttura molto sofisticata composto da rifugi sicuri in villaggi isolati e nelle moschee controllate dagli imam più radicali. Come pure c’è una vasta gamma di mezzi elettronici, di stampa, online, con cui si propaganda la Jihad, l’odio antioccidentali e religioso.

Restiamo al Kosovo; ci sono stati imam e personaggi politici arrestati perché legati al radicalismo islamico.

Negli ultimi tempi le autorità di sicurezza in Kosovo, anche grazie al sostegno degli Stati Uniti, hanno eseguito una serie di arresti eccellenti, tra i quali 12 imam e altre persone legate al reclutamento dei militanti per combattere a fianco dei gruppi islamisti in Siria e in Iraq. Del resto le milizie che oggi vanno in Siria o in Iraq a combattere non sono una cosa nuova. Durante la dominazione ottomana era normale che soldati e mercenari delle guerre nei paesi del Medio Oriente provenissero proprio dai Balcani Occidentali.

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