Succede oggi. Scuola | Costanza Miriano

di Sara Nevoso

Sgomberato il campo dalla confusione con l’accanimento terapeutico, resta il problema del rifiuto di trattamento da parte del paziente, con intento suicidario o meno. Possiamo impedire ad un paziente di dissentire da un’ipotesi di trattamento? È evidente che questa possibilità non si dà al medico, in quanto la libertà attuale del malato – che rifiuta una cura – diventa un limite invalicabile all’azione del medico, anche qualora tale cura rappresenti oggettivamente il miglior bene del paziente. Il medico avrà il dovere di informare correttamente e anche di persuadere il malato, ma non lo potrà ultimamente costringere. In questo senso, il rifiuto previo di effettuare la tracheostomia per attivare la ventilazione meccanica da parte di un malato – come parrebbe nel caso romano – non potrà che essere atteso, anche se non andrà rubricato sotto la categoria del rifiuto di accanimento terapeutico, ma sotto quella appunto del rifiuto di terapia o dissenso informato.

Diverso è il caso di un paziente che sia già sottoposto ad un trattamento salvavita come la respirazione artificiale, in cui non si riscontrino gli elementi clinici della sproporzione e in cui l’interruzione del trattamento, effettuata da un medico, abbia come risultato principale la morte del paziente. Qui l’etica professionale imporrebbe di non cooperare, per non eseguire un atto dal carattere fondamentalmente eutanasico. Non si vede infatti quale differenza sostanziale vi sia fra la richiesta di un farmaco letale per ottenere la morte e il richiedere – allo stesso scopo – la sospensione di un trattamento necessario alla sopravvivenza.

E il ruolo e la responsabilità del medico nella morte del paziente avrebbero qui un peso morale decisivo.

Fonte: Succede oggi. Scuola | Costanza Miriano.

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