Le chiese chiedono all’Europa di verificare la libertà religiosa

In una nota congiunta COMECE e KEK presentata alla Commissione europea a Bruxelles

Maria Teresa Pontara Pederiva

“In ogni paese in cui la libertà religiosa è stata violata o anche soltanto minacciata, è la società intera ad essere a rischio. La libertà religiosa infatti è un  indicatore significativo per valutare la piena attuazione dei diritti fondamentali dell’uomo. La Comunità Europea dovrebbe monitorare con attenzione ed efficacia le violazioni alla libertà religiosa al suo interno come nel resto del mondo”. Questa in sintesi la richiesta avanzata in questi giorni dalla Commissione dei vescovi presso la UE (COMECE) e la corrispondente Commissione delle Chiese cristiane (KEK) in una nota congiunta scaturita dal seminario-dialogo svoltosi su questo tema a Bruxelles il 30 marzo.

In quella sede le Chiese avevano presentato le loro valutazioni in merito. Significative le relazioni di Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi  e Paul Bhatti – fratello del ministro Shahbaz Bhatti, assassinato giusto un anno fa –  che hanno preso in esame la realtà delle minoranze nel loro paese, dove i fatti mostrano ancora oggi una situazione di diffusa violenza accompagnata a varie forme di pressione. Le minoranze religiose non ambiscono ad uno status di protezione speciale, ma solamente ad acquisire gli stessi legittimi diritti di cittadini del Pakistan.

I rappresentanti del Servizio europeo di azione esterna hanno condiviso l’intenzione di rafforzare il monitoraggio delle violazioni della libertà religiosa, attraverso una strategia più sistematica e coordinata a livello dell’UE. Le Chiese, esprimendo pieno appoggio all’European External Action Service (EEAS) – la struttura prevista dal Trattato di Lisbona che affianca l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’UE – l’ha incoraggiato a sviluppare una serie di misure e strumenti per contrastare le violazioni della libertà religiosa nel mondo e hanno messo a disposizione la loro competenza in materia.

A questo riguardo, Gary Wilton dalla Chiesa anglicana d’Inghilterra ha offerto alcuni esempi di “buone pratiche” per dare concretezza all’azione: dall’educazione ai diritti umani dentro e fuori le chiese  ai momenti di confronto fra polizia, magistratura e rappresentanti religiosi là dove esistano conflitti religiosi in atto. Wilton ha anche sottolineato l’opportunità, in sede di accordi commerciali stipulati dall’UE con paesi terzi, dell’inserimento di specifiche clausole in materia di diritti umani, con particolare riguardo alla libertà religiosa.

Per quanto riguarda poi i paesi che presentino richiesta di adesione, la Commissione europea – secondo i rappresentanti COMECE e KEK – dovrebbe esaminare con particolare attenzione il rispetto del diritto fondamentale alla libertà di religione e dei suoi aspetti connessi. Solo se verrà dimostrata, in modo chiaro e inequivocabile, la loro piena attuazione un paese potrà essere autorizzato a diventare membro dell’Unione.

A livello interno, il riferimento principale per le politiche UE in materia di diritti umani è costituito dall’articolo 2 del Trattato e dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dove si fa esplicito riferimento alla libertà religiosa. Le istituzioni dell’UE – continua il documento congiunto – dovrebbero assicurare che non si tratta semplicemente di una interpretazione a livello individuale, ma che esso è garantito in modo da comprendere in pieno anche la dimensione sociale e istituzionale.

Peter Krömer, dalla Chiesa protestante d’Austria, e Anthony Peck, segretario generale della federazione Battista europea, hanno sottolineato altresì la necessità di prestare particolare attenzione al rispetto dei diritti delle Chiese e comunità religiose di minoranza facendo leva sulle disposizioni della UE  contro ogni forma di discriminazione fra i cittadini europei.
Le Chiese hanno poi formulato richiesta all’Agenzia per i diritti fondamentali al fine di predisporre un sondaggio sulla discriminazione basata su motivazioni di natura religiosa all’interno degli Stati membri  e nei paesi candidati.

“Recenti attacchi fomentati da odio di natura religiosa fanno comprendere come il rispetto per la libertà di religione sia al centro del nostro vivere insieme e permette la promozione di una coscienza di possibile “unità nella diversità”- conclude la nota – mentre il ruolo della religione nella sfera pubblica deve essere protetto da ogni attacco, che costituisca una precisa violazione della libertà religiosa”. Perché è di fondamentale importantanza “riconoscere il ruolo positivo che la religione gioca nella vita pubblica e nella società d’Europa”.

Fonte: Vatican Insider.

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