di Jibran Khan
Il tribunale di Islamabad ha trasferito il fascicolo relativo alla minorenne cristiana affetta da ritardi mentale. Prossima udienza prevista per il primo di ottobre. Mons. Rufin Anthony: va prosciolta e la vicenda divenire una “pietra miliare” per fermare gli abusi. Dopo la vicenda del film anti-islamico, nessun commento sull’imam che ha manipolato le prove.
Islamabad (AsiaNews) – Il tribunale distrettuale di Islamabad ha inviato al giudice minorile il fascicolo relativo a Rimsha Masih, la giovane cristiana finita in prigione con false accuse di blasfemia e liberata su cauzione il 7 settembre scorso, grazie al lavoro congiunto di legali, inquirenti, società civile e governo pakistano. Il processo a carico della minorenne – secondo un rapporto medico ha circa 14 anni e soffre di un ritardo mentale – è aggiornato al primo ottobre prossimo, anche se in molti premono per il proscioglimento immediato. Fra questi il vescovo della capitale, mons. Rufin Anthony, secondo cui “tutte le accuse a suo carico vanno fatte cadere”. Intanto è calato il silenzio sulla vicenda parallela dell’imam che, manomettendo le prove, ha fatto incriminare la ragazza e determinato la cacciata di oltre 600 famiglie cristiane dalla zona di origine. Con le violenze divampate in seguito al film anti-islamico, musulmani e cristiani non intendono commentare il processo a Khalid Jadoon Chishti, nel timore di esacerbare gli animi e provocare ritorsioni della frangia estremista islamica.
Nei giorni scorsi la polizia ha depositato il fascicolo di inchiesta relativo a Rimsha Masih, dal quale emerge che non vi sono né indizi, tantomeno prove o testimonianze di colpevolezza a suo carico. Il fermo risale al 16 agosto scorso, quando la giovane cristiana è stata imprigionata in base alla “legge nera”, perché avrebbe bruciato pagine del Noorani Qaida, un libro di testo usato per apprendere le basi dell’arabo e del Corano, con impressi dei versetti tratti dal libro sacro dei musulmani. In realtà, sarebbe stato l’imam a gettare pagine bruciate nell’immondizia appena scaricata dalla ragazza, per fomentare una campagna contro la minoranza religiosa e sequestrarne beni e proprietà. Dall’8 settembre, giorno del rilascio, Rimsha e la famiglia vivono in un luogo protetto nel timore di ritorsioni e vendette personali.
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